RESPONSABILITA' MEDICA - SANITA' E SANITARI - ass. civ. Sez. III Ord., 19-07-2018, n. 19199

RESPONSABILITA' MEDICA - SANITA' E SANITARI - ass. civ. Sez. III Ord., 19-07-2018, n. 19199

In materia di responsabilità sanitaria, l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che non solo gli attori non avevano allegato il presunto dissenso del congiunto, ma dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi, come l'assenza di soluzioni terapeutiche alternative e il fatto che in precedenza il paziente si era sottoposto ad interventi analoghi, che deponevano per la presunzione di consenso al trattamento sanitario).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. OLIVIERI Stefano - rel. Consigliere -

Dott. POSITANO Gabriele - Consigliere -

Dott. PORRECA Paolo - Consigliere -

Dott. GORGONI Marilena - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3732-2017 proposto da:

B.L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato NICOLA BUQUICCHIO giusta procura speciale in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

HUMANITAS MIRASOLE SPA in persona del suo Amministratore Delegato Legale Rappresentante Dr. R.L., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato VINCENZO PALTRINIERI giusta procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 3990/2016 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 26/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Svolgimento del processo

Con "doppia conforme" il Tribunale di Milano, con sentenza 28.9.2015 n. 10989, e la Corte d'appello di Milano, con sentenza 26.10.2016 n. 3990, rigettava la domanda di risarcimento danni non patrimoniali da perdita del rapporto parentale, proposta da B.L. - n.q. di coniuge superstite e di cessionaria del credito al risarcimento dei danni spettante ai figli - nei confronti di Humanitas Mirasole s.p.a., e fondata sull'allegato inadempimento contrattuale alla obbligazione avente ad oggetto la preventiva informazione adeguata e completa che i medici della struttura sanitaria erano tenuti a fornire al paziente in ordine ai risultati conseguibili ed ai rischi di esito infausto dell'intervento di "correzione cardiochirurgica mediante bypass aortocoronarico" cui si era sottoposto, presso la struttura sanitaria, il marito M.R., decedendo in conseguenza di atto operatorio correttamente eseguito.

Entrambi i giudici di merito pervenivano ad accertare la insussistenza della prova del nesso causale, tra la condotta inadempiente omissiva e l'exitus, in quanto non erano stati allegati fatti nè fornite prove che il paziente ove tempestivamente e correttamente informato si sarebbe astenuto dal sottoporsi a detto intervento chirurgico, tanto più che lo stesso si palesava necessario, che non erano prospettabili soluzioni terapeutiche alternative, e che il paziente già in occasione di altri precedenti analoghi interventi, era stato debitamente informato sulle possibili conseguenze letali ed aveva consapevolmente accettato il rischio di decesso.

La sentenza di appello, è stata impugnata per cassazione da B.L. con due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Resiste con controricorso la struttura sanitaria.

Motivi della decisione

Il primo motivo con il quale si censura cumulativamente il vizio di errore di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, allegando la violazione di un complesso eterogeneo di norme di diritto sostanziale (artt. 1175, 1176, 1281, 1375, 2230, 2236, 2727 e 2729 c.c.) e processuale (artt. 91, 92, 112, 115 e 116 c.p.c.) ed il vizio di errore di fatto sotto il profilo della "illogica e contraddittoria" motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve ritenersi inammissibile.

Osserva il Collegio che, se la cumulativa denuncia, con il medesimo motivo, di vizi attinenti alle ipotesi previste dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5) (idest: formulazione di un singolo motivo articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo), non impedisce l'accesso del motivo all'esame di legittimità allorchè esso, comunque, evidenzi distintamente la trattazione delle doglianze relative all'interpretazione o all'applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), così da consentire alla Corte di individuare agevolmente ciascuna autonoma critica formulata alla sentenza impugnata in relazione ai diversi vizi di legittimità contestati in rubrica (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9793 del 23/04/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015), diversamente, il motivo "formalmente unico" ma articolato in plurime censure di legittimità, si palesa inammissibile tutte le volte in cui l'esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno di entrambe le censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso infatti le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l'apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimità ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d'impugnazione enunciati dall'art. 360 c.p.c., non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto dell'art. 360 c.p.c., e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).

In ogni caso, tenuto conto che la censura di "error fatti" dedotta in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve ritenersi ex se inammissibile attesa la preclusione di cui all'art. 348 ter c.p.c., comma 5, (applicabile al presente giudizio, essendo stato proposto l'appello in data successiva all'11.9.2012: cfr. D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012), non avendo dimostrato il ricorrente che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, erano tra loro diverse (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 19001 del 27/09/2016), quando anche si dovessero riferire interamente gli argomenti svolti nella esposizione del motivo in esame alle censure per vizi di errore di diritto, osserva il Collegio che il motivo non sortirebbe esito diverso.

La prima parte della censura appare totalmente inconferente, in quanto parrebbe che la ricorrente si dolga, da un lato, della scorretta applicazione dell'onere della prova in materia di inadempimento contrattuale, non avendo considerato il Giudice di merito la evidente infondatezza delle difese svolte da Humanitas Mirasole s.p.a.; dall'altro della mancata considerazione della insufficienza informativa del "modulo" predisposto dalla struttura sanitaria.

Fermo il principio ormai consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001), è appena il caso di osservare come la Corte d'appello ha ritenuto pienamente provata la condotta di inadempimento dei sanitari della struttura all'obbligo informativo preventivo, avendo rilevato che il contenuto del modulo predisposto dalla struttura sanitaria e sottoposto alla sottoscrizione del paziente presentasse un "contenuto effettivamente generico" tale da non consentire "la piena conoscenza della natura dell'intervento chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative".

Risultando acclarato dal Giudice di merito l'inadempimento ex contractu, ogni censura relativa al riparto dell' "onus probandi" in ordine alla dimostrazione della mancanza od insufficienza del consenso informato appare inconferente, del tutto incomprensibile poi essendo la doglianza della mancata considerazione da parte della Corte di appello che Humanitas Mirasole s.p.a. si era difesa sostenendo invece la completezza del contenuto informativo del "modulo" del consenso informato.

La Corte d'appello ha, invece, rigettato la domanda risarcitoria, in punto di mancanza di prova del nesso eziologico tra il danno-conseguenza (perdita del rapporto parentale) seguito all'exitus del paziente e l'indicato inadempimento contrattuale, non avendo i danneggiati neppure allegato che il paziente, ove correttamente informato, avrebbe desistito dal sottoporsi all'intervento chirurgico, nè tanto meno che nel caso di specie fossero praticabili alternative terapeutiche al detto intervento di correzione cardiochirugica mediante bypass aortocoronarico.

In tal modo il Giudice territoriale si è conformato al principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui "in tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute" (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 7237 del 30/03/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 20984 del 27/11/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 2998 del 16/02/2016; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 24074 del 13/10/2017; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2369 de/ 31/01/2018).

Orbene del tutto infondata appare la critica svolta dalla ricorrente laddove ipotizza che il predetto principio di diritto troverebbe applicazione esclusivamente in ipotesi di danni alla salute diversi dalla morte del paziente, non essendo ancorata tale asserzione ad alcun criterio logico-giuridico, non essendo all'evidenza rilevante la mera statistica dei casi osservati nei precedenti giurisprudenziali in cui il paziente era sopravvissuto, non essendo tale dato congruente con una diversa applicazione del principio di diritto sopra affermato che pone l'onere probatorio del nesso di causalità tra inadempimento contrattuale e danno-conseguenza in ogni caso a carico del danneggiato, e cioè del soggetto che agisce in giudizio vantando la pretesa risarcitoria (sia esso lo stesso paziente, siano essi i parenti sopravvissuti al paziente deceduto).

Ed è appena il caso inoltre di osservare come -in contrario a quanto ipotizzato dalla ricorrente- se, per un verso, l'onere della prova del nesso eziologico non può che gravare sul danneggiato, in quanto elemento costitutivo della pretesa al risarcimento del danno (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9085 del 19/04/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 17306 del 31/07/2006; id. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/01/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 17143 del 09/10/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 21177 del 20/10/2015; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 29315 del 07/12/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018), rimanendo a carico del danneggiato la prova dell'esistenza del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie), nonchè del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando invece a cario del professionista sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile; per altro verso tale soluzione, avuto riguardo all'oggetto della prova che si risolve nella prognosi postuma dalla scelta che il paziente in base ad elementi circostanziali inequivoci (che vanno ad investire la storia, non soltanto clinica ma anche sociale, familiare e più ancora la sensibilità culturale e psicologica del paziente) avrebbe adottato se fosse stato compiutamente informato, non può che riversarsi, avuto riguardo al principio cd. della "vicinanza della prova", a carico dello stesso soggetto interessato o dei parenti più prossimi i quali in ogni caso (tanto in caso di sopravvivenza che di decesso del paziente) appaiono certamente le fonti più idonee e dirette per riferire in ordine ai fatti rilevanti da cui inferire la scelta che avrebbe compiuto il congiunto.

Del tutto errata e fraintesa è la lettura effettuata dalla ricorrente della proposizione, estrapolata dall'intero contesto motivazionale, tratta dal precedente di questa Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 577 del 11/01/2008 secondo cui nell'ambito dei rapporti contrattuali, il soggetto che agisce per il risarcimento del danno è tenuto ad allegare inadempimento "qualificato" tale cioè da essere compatibile -quale fatto generatore- con l'evento cui si ricollega il danno-conseguenza di cui la parte contraente chiede il ristoro, mentre spetta al debitore "dimostrare che tale inadempimento non vi è proprio stato, ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno ". Osserva il Collegio che le Sezioni Unite non hanno inteso -come invece pare ritenere la ricorrente- operare una inversione di indirizzo in tema di riparto dell'onere della prova, secondo l'ordinario criterio desunto dall'art. 2697 c.c., che pone a carico di colui che agisce in giudizio l'onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa e quindi, nel caso di specie, anche 1' "eventum damni" e la sua relazione di derivazione causale dalla specifica condotta di inadempimento: in tal sensi depone la successiva giurisprudenza di legittimità che richiamandosi all'arresto delle Sezioni Unite ha continuato senza incertezze ad attribuire il relativo onere probatorio alla parte danneggiata. La proposizione della motivazione della sentenza n. 576/2008 richiamata dalla ricorrente, deve -infatti- intendersi nel senso che, una volta che attore abbia dimostrato (art. 2697 c.c., comma 1) i fatti che costituiscono il fondamento del diritto al risarcimento dei danni (prova del titolo -allegazione dell'inadempimento - prova dell'"eventum damni" - prova logica della non incompatibilità della derivazione dell'"eventum damni" dal fatto di inadempimento allegato - prova della esistenza "an" e della dimensione "quantum" delle conseguenze pregiudizievoli riconducibili alla predetta sequenza causale), grava sul debitore l'onere della prova dei fatti contrari o di fatti diversi che comportino la estinzione o la modifica del diritto fatto valere in giudizio (art. 2697 c.c., comma 2), tra cui eventuali fatti generatori dell' "eventum damni" esterni alla condotta inadempiente e che rivestono autonoma ed assorbente efficienza causale, in quanto non riconducibili alla sfera di controllo del debitore e da quello non originati, ed tali anzi da rendere impossibile "in relazione al titolo dell'obbligazione od alla natura dell'oggetto" (art. 1256 c.c.) la realizzazione del risultato negoziale programmato avuto riguardo al limite massimo dello sforzo esigibile dal debitore: in sostanza il debitore per liberarsi dalla responsabilità contrattuale per il danno derivato dall'inadempimento, deve fornire la prova del "fatto che ha causato la impossibilità" del corretto adempimento della obbligazione (art. 1259 c.c.), così da escluderne qualsiasi incidenza causale nella determinazione dell' "eventum damni" (cfr., da ultimo Corte Cass. id. Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 29315 del 07/12/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018).

Venendo alla specifica questione sottoposta all'esame di questa Corte, rileva il Collegio che, identificato l'"eventum damni" con il decesso del paziente, ed incontestato che il paziente ha autorizzato i medici ad eseguire l'intervento chirurgico, e che l'atto operatorio necessario - in difetto di soluzioni terapeutiche alternative- è stato condotto correttamente, non potendo quindi ascriversi a colpa medica l'evento infausto trattandosi di esito rientrante tra quelli "normalmente prevedibili" avuto riguardo alla tipologia di intervento chirurgico praticato su un paziente che aveva già subito precedenti analoghi interventi comportanti il medesimo rischio di esito letale (esame emodinamico diagnostico; angioplastica coronarica), deve ritenersi che la sequenza causale tra inadempimento contrattuale ed evento dannoso non può che essere ricercata avuto riguardo al fatto-inadempimento della "omessa informazione preventiva del rischio letale correlato all'intervento chirurgico", individuato quale fatto idoneo ad agire nel determinismo causale dell'evento di danno in quanto qualificato dalla ipotesi da sottoporre a verifica controfattuale - che tale rischio se reso noto e considerato non sarebbe comunque stato accettato dal paziente.

Dal che deriva in termini di riparto probatorio, richiamate le considerazione sopra svolte, che:

a) i danneggiati sono onerati della dimostrazione della compatibilità eziologica tra l'exitus e la omessa/insufficiente informazione fornita preventivamente al paziente, in quanto fatto di inadempimento causalmente qualificato;

b) la struttura sanitaria, una volta dimostrato dai danneggiati il nesso di derivazione causale tra inadempimento contrattuale ed exitus, è onerata della prova che l'evento dannoso si sarebbe -comunque - verificato per una causa esterna idonea ad assorbire integralmente la efficienza causale dell'evento-danno eliminando quindi qualsiasi incidenza eziologica, anche solo concorrente, della omissione informativa.

Orbene, come ripetutamente affermato da questa Corte, l'inadempimento contrattuale da omessa informazione preventiva in ordine ai risultati conseguibili ed ai rischi di esiti negativi e finanche letali dell'intervento chirurgico, se evidenzia una relazione causale diretta tra violazione contrattuale e compromissione dell'interesse giuridico del paziente a compiere in piena autonomia una valutazione complessiva dei "costi-benefici" dell'intervento, che non si limita soltanto al risultato terapeutico, ma investe anche aspetti ulteriori quali gli eventuali effetti collaterali invalidanti, la durata della riabilitazione, il perdurare o riprodursi di sofferenze dovute ai postumi, la accettazione di eventuali mutamenti irreversibili delle abituali condizioni di vita, potendo in tal caso lamentare il soggetto leso di aver subito -a causa dell'inadempimento- un pregiudizio alla propria sfera giuridica per il fatto stesso di non avere potuto esercitare la autonomia privata, indipendentemente da eventuali ulteriori conseguenze dannose (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 12205 del 12/06/2015 -che individuano il danno in relazione alla lesione del diritto fondamentale alla autodeterminazione dell'individuo-), non altrettanto evidenzia "ex se", con assoluta diretta immediatezza, la relazione causale con altre conseguenze pregiudizievoli, quali per l'appunto il danno da lesione del diritto alla salute, quale esito negativo prevedibile dell'atto operatorio eseguito "secundum leges artis", atteso che con riferimento a tale evento- la omessa informazione assume di per sè carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la rilevanza causale dell'inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa "consenso/dissenso" che qualifica detta omissione, laddove, in caso di presunto consenso, l'inadempimento, pur esistente, risulterebbe privo di alcuna incidenza deterministica sul risultato infausto dell'intervento, in quanto comunque voluto dal paziente; diversamente, in caso di presunto dissenso, assumendo invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l'intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito -e l'esito infausto non si sarebbe verificato- non essendo stato voluto dal paziente.

La allegazione dei fatti dimostrativi della opzione "a monte" che il paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante dell'onere della prova del nesso eziologico tra l'inadempimento e l'evento dannoso, che in applicazione dell'ordinario criterio di riparto ex art. 2697 c.c., comma 1, compete ai danneggiati.

Ed è tale prova che, secondo la Corte d'appello, è difettata nel caso di specie, in quanto non soltanto non sarebbe stato neppure allegato, dal coniuge superstite, l'ipotetico dissenso a sottoporsi all'intervento che avrebbe manifestato il marito, ove preventivamente informato dei rischi, ma al contrario dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi sintomatici che deponevano per la presunzione del consenso da parte del paziente, individuati nella assenza di soluzioni terapeutiche alternative possibili, e nella circostanza che già in precedenza il paziente aveva espressamente accettato il rischio di esito letale quando si era sottoposto ad interventi analoghi (gli elementi di indagine addotti per la prima volta con il ricorso per cassazione - pag. 14 - necessitando di valutazioni di merito ed accertamenti in fatto non sono evidentemente esaminabili in sede di legittimità e, comunque, vengono a sostanziarsi in mere ipotesi ed illazioni, non risultando coerente con l'oggetto della prova, la circostanza delle plurime polizze assicurative sanitarie stipulate dal paziente).

Inconferenti rispetto alla "ratio decidendi" appaiono anche gli ulteriori argomenti difensivi svolti nel motivo in esame, tutti volti ad affermare che risultava pienamente accertato l'inadempimento dell'obbligo di fornire al paziente un consenso informato, fatto questo dato per pacifico dalla Corte territoriale e che non investe, pertanto, il fondamento motivazionale della decisione impugnata interamente incentrata sul piano della esclusione del nesso eziologico tra omessa informazione ed exitus.

Secondo motivo: violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost.art. 54 c.p.L. n. 833 del 1978, art. 33; art. 31 Codice deontologico della professione medica, nonchè vizio di omessa o insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il secondo motivo di ricorso ripete la stessa struttura del precedente motivo, incorrendo nella stessa sanzione di inammissibilità, non essendo dato eviscerare nello svolgimento degli argomenti difensivi, quelli a supporto del vizio di "error in judicando" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) da quelli svolti a sostegno del distinto vizio di legittimità contemplato dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, comunque precluso dall'art. 348 ter c.p.c., comma 5, applicabile ratione temporis.

Il motivo si palesa comunque inconferente rispetto alla "ratio decidendi".

La parte reitera le allegazioni concernenti "la mancanza di un adeguato consenso", il contenuto del modulo "totalmente generico e non dettagliato nella descrizione dell'intervento" nonchè "privo del benchè minimo riferimento ai rischi mortali ed alle devastanti conseguenze proprie della terapia interventistica consigliata e praticata ", ma sul punto non vi è statuizione contraria oggetto di impugnazione: la Corte d'appello ha infatti pacificamente ritenuto sussistere la prova dell'inadempimento omissivo dei sanitari.

La giurisprudenza richiamata (Corte Cass. 3^ sez. sentenza del 16.5.2013 n. 11950) non smentisce affatto le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata in ordine alla necessaria prova del nesso eziologico tra omessa informazione e danno (quale conseguenza prevedibile) derivato dall'intervento terapeutico (correttamente eseguito), essendo ribadita in motivazione la diversità, ai fini della relazione causale con il danno alla salute, tra la domanda di inadempimento per errata esecuzione della prestazione terapeutica e la domanda di inadempimento per omessa prestazione avente ad oggetto il "consenso informato", quanto "solo nel secondo caso (ndr colpa professionale medica), a differenza che nel primo (omessa informazione sui rischi), la lesione della salute si ricollega causalmente alla colposa condotta del medico nell'esecuzione della prestazione terapeutica, inesattamente adempiuta, e non alla omessa informazione in sè, occorrendo altresì provare - e tale onere compete al danneggiato - che l'adempimento da parte del medico dei suoi doveri informativi avrebbe con certezza prodotto l'effetto della non esecuzione dell'intervento chirurgico dal quale lo stato patologico è poi derivato, (v. sul punto anche Cass. n. 2847/2010 in motivazione). Nel primo caso, invece, la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori, anche ove non sussista lesione della salute (cfr. Cass., nn. 2468/2009) o se la lesione della salute non sia causalmente collegabile alla lesione di quel diritto, tutte le volte in cui siano configurabili conseguenze pregiudizievoli (di apprezzabile gravità, se integranti un danno non patrimoniale) che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se stesso.".

Rimane quindi una mera asserzione del tutto anapodittica che il paziente, ove preventivamente informato, avrebbe con certezza rifiutato di sottoporsi all'intervento chirurgico cui è stato sottoposto con esito infausto.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2018


Avv. Francesco Botta

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